questa mattina mi sono imbattuto in una sentenza del c.s. (ADUNANZA PLENARIA) il cui dispositivo per cetti versi è esplisivo per le sue eventuali ripercussioni
Si apre uno scenario preoccupante sulla legittimità dell amiriade di opere incompiute, che per mille ragioni sono presenti sul territorio, con obiettiva compromissione del paesaggio;
la vicenda crea lo spunto riflessivo sulla eventuale pretesa di soggetti terzi all’obbligo di ultimazione di lavori di costruzioni limitrofe non ultimate;
rivolgo il quesito ai colleghi tutti: esiste un obbligo normativo a pretendere l’ultimazione dei lavori non ultimati?
https://portali.giustizia-amministrativa.it/portale/pages/istituzionale/visualizza/?nodeRef=&schema=cds&nrg=202207373&nomeFile=202400014_11.html&subDir=Provvedimenti
questo è il link per la sentenza del post precedente
Gentile Gianluigi,
la questione che sollevi è complessa e interessante, soprattutto perché si inserisce in un quadro normativo che riguarda sia il diritto urbanistico che quello ambientale, con possibili ripercussioni legali e amministrative.
In Italia, il principio di ultimazione dei lavori è regolato da diversi strumenti normativi, tra cui il Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001). Secondo questa normativa, chi ottiene un titolo abilitativo edilizio (come un permesso di costruire) ha l’obbligo di ultimare i lavori entro un termine specifico, altrimenti rischia la decadenza del permesso. Tuttavia, le opere incompiute sono una realtà frequente, e la normativa attuale non sempre prevede sanzioni efficaci o obblighi stringenti per chi lascia i lavori a metà.
Per quanto riguarda la pretesa di soggetti terzi, come vicini o altri cittadini, di richiedere l’ultimazione dei lavori non completati, non esiste un obbligo diretto. Tuttavia, esistono strumenti di tutela in caso di danni o compromissione del paesaggio o della vivibilità dell’area circostante. In tali situazioni, soggetti terzi potrebbero rivolgersi al comune o ad altre autorità per segnalare una violazione urbanistica o ambientale, chiedendo interventi di ripristino o l’imposizione di sanzioni.
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, a cui fai riferimento, probabilmente ha introdotto nuovi spunti interpretativi che potrebbero avere implicazioni future. Potrebbe aver approfondito l’aspetto dell’interesse pubblico nella completazione delle opere o la possibilità per l’amministrazione di intervenire in modo più incisivo.
È possibile che, in futuro, venga delineata una normativa più stringente per obbligare i soggetti proprietari a completare le opere o, in alternativa, prevedere interventi di ripristino o demolizione per evitare il degrado paesaggistico.
Buona giornata e buon lavoro
Responsabile Esecutivo
Claudio Valeri
condivido appieno l’analisi, tuttavia mi permetto di osservare che a mio parere i limiti temporali dell’art. 15 siano un range operativo ma non costituiscono un obbligo; intendo dire che il decorrere dei termini di validità del permesso determiano la decadenza dello stesso, ma non mi sembra sia previsto l’obbligo di ultimazione entro tali termini, tant’è che è espressamente previsto in caso di non ultimazione, il ricorso ad un nuo titolo abilitativo per le opere non ancora eseguite; per quanto riguarda la sentenza del CS in adunanza plenaria, il princio giuridico che emerge, delinea una linea interpretativa preoccupante; secondo la tesi del CONSIGLIO nel caso in cui l’opera incompiuta non sia definita dal punto di vista strutturale e funzione, tale per cui non è possibile ritenere la stessa ormai concretizzata nella sua essenza di costruzione, è da intendersi quale opera illegittima in quanto non rispetta le previsioni di progetto legate al permesso che l’ha autorizzata; ne consegue che in tale ipotesi l’opera è da considerarsi illegittima e pertanto sarebbe di riflesso legittima la richiesta di rimessa in pristino da ordinare ai sensi dell’art. 31 del d.p.r. 380/2001; sinceramente a me sembra un po articolata la tesi del consiglio, invita comunque ad una riflessione da parte nostra
L’AP non mi pare che abbia fatto riferimento all’obbligo di concludere i lavori. Ha detto una cosa diversa: le opere incompiute costituiscono (o possono costituire, dipende dal caso concreto) manufatti edilizi totalmente difformi da quanto autorizzato col titolo abilitativo, e pertanto sono soggetti al regime sanzionatorio delle opere eseguite in totale difformità.
Mi permetto di dissentire; credo che il nocciolo della sentenza stia proprio nella tesi che l’opera non ultimata, in quanto tale, differisce dall’autorizzato, di conseguenza risulterebbe illegittima; in tale ipotesi lo scenario a mio avviso è preoccupante; cosa diversa credo sia il fatto di aver realizzato un opera che nella consistenza, caratteristiche od altro differisca dall’originale autorizzato.
Sì, è così, intendevo dire proprio questo. E’ l’incompiutezza stessa a costituire difformità (salve eccezioni). Sottolineavo che l’AP non si riferisce all’obbligo di completare i lavori, ma al dovere di realizzare opere conformi all’autorizzato. Non è una distinzione molto utile, lo riconosco.
da una analisi più approfondita della sentenza, l’organo giudiziario introduce ilprincipio di incompiutezza che crea illegittimità; mi sembra di dedurre dall’analisi della sentenza che a determinare l’illegittimità è un grado di incompiutezza dell’opera che determini una difficile percezione della consistenza della stessa, nell’intesa che alcune caratteristiche della struttura non sono complete; viceversa un ummobile ancorchè completo al rustico, potrebbe risultare abusivo per il semplice fatto che entro il periodo di efficacia del titolo non sono state realizzate le opere di impiantistica e di finitura; se così fosse la sorte di molti immobili sarebbe a rischio